JOHANN SEBASTIAN CIRCUS
Creative

Il teatro non è nato per essere guardato

Pochi giorni fa è stata la Giornata Mondiale del Teatro. Arrivo lunga, lo so, ma perché mi piace prendermi il mio tempo, poi perché c’è sempre un buon motivo per usufruire della retorica del non va festeggiato una sola volta l’anno ma tutti i giorni che ci sta sempre bene.

Sì, perché chi il teatro lo fa ogni giorno sa bene che celebrarlo è una pratica quotidiana, è un amore che si dichiara ogni minuto, una decisione che va rinnovata di continuo senza perdere smalto e lucentezza.

La pandemia è stata difficile per chiunque ma ha messo seriamente a dura prova chi ha scelto il teatro per la vita, non solo per l’ovvia e importante questione economica o per la mancanza del pubblico, ma proprio perché è venuta a mancare la relazione.

Abbiamo perso l’occasione di avvalerci del Teatro come strumento migliore per maturare nuove forme di avvicinamento che escludessero il contatto fisico, scoprendo le mille possibilità degli occhi e del viso per comunicare anche da lontano, cercando nuove forme di abbracci per sentirsi meno soli.

Il Teatro questo fa: osserva le persone nella loro completezza e cerca soluzioni apparentemente impossibili.

Prima di salire sul palco a mettere in scena sé stesso, il teatro scruta. È un grosso errore pensare che il teatro sia fatto per essere guardato perché, tu non lo sai, ma è il teatro a guardare te, proprio quando sei più vulnerabile, rilassato, nel buio della platea.

Il teatro non è spettacolo

Lo pensavo anche io, mi limitavo alla bravura di attorə, regia, luci, musiche, alla magia di quell’istante unico e irripetibile che si consuma davanti ai tuoi occhi e di cui fai inevitabilmente parte con il tuo ascolto. Nella mia testa limitavo la buona riuscita di uno spettacolo a mesi di prove, di confronti, di cadute e rialzate sulla scena e fuori, oltre che all’esperienza deglə artistə. Ma quanto mi sbagliavo!

Dov’è il linguaggio, dove sono i gesti e quali sono le immagini che potrebbero consentirci di comprendere i profondi cambiamenti e le rotture che stiamo vivendo? E come possiamo trasmettere il contenuto delle nostre vite, in questo momento, non come reportage ma come esperienza?

Il teatro è la forma artistica dell’esperienza.

Peter Sellars

Ma il teatro inizia prima, prima delle prove, prima della produzione, prima dell’idea. Il teatro è nella testa, ma non ha la forma di un risultato, ha più la forma di una scelta che non prevede alternative.
Il teatro nasce all’alba dei pensieri, prosegue sotto forma di azioni, si concretizza in un’idea. Da quell’idea parte poi lo studio, la scrittura, l’immagine che faranno lo spettacolo.
Ma il teatro lo trovi nelle scelte di vita, nelle pieghe del quotidiano, nella direzione degli sguardi. Il teatro osserva, percepisce, assorbe. Il teatro si nutre dell’invisibile, sonda il vento e sceglie la rotta. Poi spiega le vele e va, dimostra coraggio e forza, fa saltare le mattonelle come le radici delle querce che crescono sotto i marciapiedi.

Il teatro è una macchina da pace

Nunzia Antonino in La signorina Else, Teatro Torlonia

Quando il teatro non è spettacolo fa saltare il culo sulla sedia, crea imbarazzo, mette a disagio. Anche per questo la platea è buia, per garantire libertà e riservatezza. Quando il teatro non è spettacolo il rapporto tra attorə e spettatorə è tanto forte quanto privato, perché viene da lontano, perché nasce nella notte dei tempi, è antropologicamente connaturato nell’essere umano.
Del resto il teatro come luogo fisico è solo una conseguenza dell’arte teatrale, quindi dove nasce questa potenza che permette aə teatranti di esprimersi in maniera così totalizzante?

Il segreto è proprio nella loro connessione profonda con la natura umana e con il bisogno dell’altrə per esistere. La magia è nell’intuito atavico per la sopravvivenza e la salvaguardia dell’essere umano.
Naviga all’opposto della tecnologia, non per contrapposizione alla stessa, ma per favorire i bisogni ancestrali della persona, la predisposizione alle emozioni e la consapevolezza dei desideri. Ha tempi lunghi, più inclini a quelli della natura che ai bisogni della modernità. Il teatro ha ritmi da coltivazione, sa bene come fertilizzare un terreno, farlo germogliare, si prende cura del risultato e ne offre i frutti. Da essi ne coglie semi da ripiantare per ricominciare il ciclo della vita.

Non è una macchina da guerra

Come la coltivazione lascia spazio alla riflessione, alla cura dell’attesa, alla festa della condivisione. Crea rapporti, rafforza radici, nutre e configura villaggi attorno a sé. Il teatro non prescinde dal luogo in cui si trova, piuttosto lo genera. Crea strade, collega eremi, fa nascere case e famiglie.

Spesso si dice, di chi realizza cose inimmaginabili e raggiunge obiettivi altissimi è ‘una macchina da guerra’. Certamente la sopravvivenza del rito del teatro al giorno d’oggi necessita di persone con i superpoteri, che lottano contro i mulini a vento come veri condottieri.

Però il teatro non divide, non distrugge, non allontana e visto che fare la pace appare molto più complicato che bombardare qualche città, oserei dire che il teatro è una macchina da pace.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.