teatro che accade
Comunicare

Il Teatro deve cambiare palcoscenico

Ho un sogno, mi è chiaro: il Teatro che accade deve cambiare palcoscenico

Ovvero: Elucubrazioni mentali dopo aver visto e ascoltato il lavoro di Compagnia La Baracca e tanti altri a Visioni di Futuro, visioni di teatro, e subito dopo Simona Ruffino e Andrea Fontana, in un altro teatro.

Ho visto compiere magie

Ho visto il Teatro che ascolta il suo pubblico e lo pone al centro della produzione, in un divenire continuo che accade ogni volta in maniera diversa.

Accade, sì, come un’occasione fortuita, come la concomitanza di vari avvenimenti, come un momento al di fuori dal nostro controllo, come un allineamento di pianeti. Perché il Teatro lo puoi immaginare, lo puoi progettare, ma poi lui accade come vuole perché è vivo come le persone che lo compiono e come le persone che lo guardano.
E quando poi le persone sono delle personcine che sanno tutto della vita e poco dei codici sociali, allora la meraviglia è assicurata.

E allora il Teatro si inchina a loro, si abbassa per guardarli negli occhi, dice cose incomprensibili ai grandi, ha tempi diversi, il ritmo ha cicli più brevi, ripete le cose, ride, canta, osserva, sperimenta e aspetta. Aspetta che il piccolo pubblico si esprima, gioisca, si muova o stia fermo, ascolti, ringrazi, si sorprenda, si spaventi, sorrida.

Aspetta che il pubblico trasformi in gesto l’esperienza, per capirla.

Trovo che questo ritorno a una dimensione umana che gli adulti hanno perduto sia terribilmente innovativa, così tanto da non essere sempre riconosciuta.

Kuziba e dintorni, alla fine della seconda replica di Come seme
Ah, sì, questi siamo noi, Kuziba e dintorni, alla fine della seconda replica di Come seme

‘La persona al centro’

sento dire continuamente nei corsi di marketing. Gli stessi corsi in cui sento parlare di identificare un target personas per trovare il giusto canale comunicativo con esso. Come se a noi, persone, bastasse metterci addosso un’etichetta per farci vendere la qualunque, come se non fossimo fatti di mille sfumature ed emozioni di prossimità che mutano in continuazione e che influiscono sulle nostre scelte. E sulle nostre reazioni.

Ed invece io ritrovo quell’attenzione all’ascolto proprio lì, in cima alla piramide di Maslow, nella parte più alta ma più sottile, quella lontana dai bisogni vitali di una persona, accanto ai bisogni estetici come se il teatro fosse una cosa di cui potremmo fare tutti a meno, come se la cultura non fosse indispensabile ad ogni essere vivente, come se ci volessero privi di sfumature e inscatolati in layout predefiniti così da farci sapere in maniera semplice e banale cosa dobbiamo comprare per il nostro “benessere”.

C’è qualcosa che non mi convince in questa suddivisione.

Ho assistito a una platea intera che parla con l’amico gorilla ad un telefono che ha una banana per cornetta, ho visto un foyer pieno di adulti aprirsi in due per fare strada al piccolo pubblico che a malapena gli arriva a metà coscia, ho visto attori e attrici mettersi in gioco davanti a colleghi ed esperti per condividere idee ed esperienze.
Ho visto mettere le persone, le piccole persone, al centro di tutto.

Al centro di confronti, discussioni e scambi

Al centro dell’ascolto di ognuno di loro, uno alla volta, perché tutti e tutte sono diversi e hanno la stessa importanza.

E questa attenzione, questo riguardo formano persone attente all’accoglienza, alla diversità, all’unicità di ognuno. Per avere una società più umana dobbiamo imparare a dare ascolto da oggi, da subito. Con premura, con l’urgenza e la cura che tutte le persone meritano.

Mettere la persona al centro non vuol dire inserirla in una categoria, al contrario vuol dire lasciarla libera di esprimersi in ogni tonalità, e per farlo è necessario spostare la cultura, il Teatro, tra i bisogni fondamentali dell’essere umano.
E se la piramide dei bisogni non è facile da modificare, allora bisogna cambiare la narrazione.

La narrativa del mercato è suddivisa in aree tematiche che rispondono ad altrettante paure nel pubblico di riferimento. Il Teatro rientra nella narrazione del valore, perché è proprio la cultura che determina il valore da raccontare.

Ma questo, a me, non basta

Per il teatro che accade non è sufficiente narrare sé stesso per aumentare il suo pubblico, perché chi non conosce il Teatro non sa soppesarne il merito. Ma soprattutto perché l’esperienza del teatro per bambini ha un valore così sopraffino da diventare cura.

Vivere il teatro insieme ai bambini e alle bambine è una medicina potentissima, osservarli e distinguere le loro reazioni ci toglie di dosso la semplificazione, la mediocrità, la classificazione, migliora la conoscenza, riduce le distanze e si occupa di quella paura dell’abbandono (da parte del bambino e anche dell’adulto) alla quale risponde la narrazione della cura. È lì che il teatro incontra la sua vera forma.

Perché la distrazione degli adulti si può curare mentre il teatro accade nei più piccoli, reimparando da loro una gestione degli altri e della relazione più legata all’essere umano.

La semplificazione ci mette l’uno contro l’altro.

Abbiamo bisogno di cambiare lo storytelling, di invertire la rotta, di creare degli adulti responsabili e consapevoli, colorati e diversi!

“Il tuo spazio sacro è dove puoi incontrarti ancora e ancora.”

Joseph Campbell

Il Teatro che accade può farlo, può insegnare ad essere presenti e coscienti, a reincontrarsi. Ma perché questo accada, il teatro deve cambiare palcoscenico nel racconto di sé.

Nel mio sogno, il Teatro immaginato si sta prendendo cura di noi, con la premura che lo contraddistingue.


PS: Se vi va di esaminare il funzionamento dell’essere umano nelle scelte seguite Simona Ruffino, esperta di neuromarketing che lascia spazio al dubbio e alla complessità dell’essere umano.
Se invece vi interessa capire come agiscono le narrazioni più affascinanti seguite Andrea Fontana e i suoi approfondimenti sullo storytelling.

Nel testo faccio riferimento ai loro interventi sul palco di &Love Story, lo scorso 16 marzo al Teatro Ristori di Verona.

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