in vino veritas
Coinvolgere,  Comunicare

In vino veritas: la mia prima volta

La cultura è un ambiente molto vasto da indagare, diventa spesso anche soggettivo. In vino veritas, però, resta un dogma abbastanza riconosciuto. E allora come si congiungono questi due estremi?

La cultura pone argini?

Ho scelto, per colpa delle 3 P (propensione, passione e principio), di occuparmi di comunicazione culturale.

Perché ci credo, perché penso che spammare bellezza sia un dovere _oltre che un piacere_ e perché ho riscontrato molto spesso negli ambienti culturali un elitarismo che separa piuttosto che unire, che solo a dirlo senti quanto sia in contrapposizione al principio di cultura stessa.
Io sono certamente una persona molto esigente nelle cose che faccio, nella scelta dei progetti che voglio comunicare, nel livello di contenuti che devo diffondere, perché la bellezza è ovunque… ma anche un po’ meno di così.

Eppure questa mia cernita è fatta, soprattutto, dal mio istinto. C’è sempre un campanellino dentro di me che suona come gli stacchetti dei giochi in tv, allegri quando vinci ma sconsolanti quando sbagli risposta.

Delego a lui la capacità di distinguere ciò che è mio da ciò che non lo è.

La mia prima volta

Quando alla proposta di Francesco il campanellino ha squillato raggiante mi sono detta che sì, la Sagra del Vino l’avrei comunicata io. La mia prima volta in un evento che ruota attorno al liquido rosso di primitiva specie, nel sud del sud.

Così, nel gito di pochi giorni, sono stata catapultata in un mondo fatto di insiemi sovrapposti, di tecnicismi e tradizioni, di storia e romanticismo, di appartenenza e di futuro. Il vino amo berlo, amo un po’ meno tutti quei pipponi che vanno di moda per avere un argomento da sfoggiare a tavola (sfoggiare? Ma lo sapete quanto siete noiosi se nessuno ve l’ha chiesto?), ma qui ho capito subito che c’era dell’altro, ben altro.

E non entrerò nel merito della immediata empatia che ho colto tra Francesco ed Antonio, che si sono riconosciuti a vicenda come simili e complementari, che hanno saputo appoggiarsi e difendersi anche davanti agli imprevisti inimmaginabili. Non lo farò perché i risultati parlano da soli.

Ma, come il mio lavoro mi pregia di poter fare, ho osservato dall’interno (già comodamente sul divano di casa prima di andare fisicamente a Carosino) l’attaccamento ad una città così carica di nostalgia _spesso capita nei paesi del sud_ ma con un’energia nuova, propositiva. Come se l’arcaico rito collettivo contenesse in sé il seme del futuro. Questo i carosinesi lo sanno, e non ci rinunciano.

Poi l’ho riconosciuto

È successo alle 4 e mezza di mattina quando la gente ha lasciato il comodo letto di casa per vedere del vino zampillare da una fontana. Avrebbero potuto vederlo per i 4 giorni successivi, ma vuoi mica togliere loro il ‘priscio’ di vedere le prime gocce di vino uscire da quei tubicini?

Mi sono chiesta: Io l’avrei fatto per la mia città? La mia risposta è stata NO.

Ma loro sì, quindi applausi e ammirazione.

È stato solo quando sono andata a salutare Anna Gennari, dopo il talk sulle donne e il vino e, parlando con lei di comunicazione e commentando ciò che aveva detto dal pulpito che ho realizzato che, per la prima volta, stavo lavorando ad un evento enogastronomico. Eppure, per me, era chiaramente un evento culturale.

Io ci ho visto tradizioni, storia, storie, musica, teatro, comunità, riti, abitudini, ricordi, desideri, sogni.
In tutto questo ho riconosciuto la cultura come la intendo io.

In questo mix di passato, che ci definisce, e di futuro, che vogliamo definire.
E, sempre parlando con Anna, ci siamo dette ‘e cosa saremmo noi senza valori che sono il futuro ma che emergono fortemente dal nostro passato?
Cosa saremmo?

Saremmo polifenoli, carboidrati e proteine

Invece siamo radici e ali, siamo storia e immaginazione, siamo tradizione e tradimento.

E lo sanno bene i ragazzi e le ragazze che hanno reso le degustazioni più belle e sorridenti, nei loro occhi ho visto il desiderio di cambiare le cose senza intaccare nulla, di prendere il meglio e ripulirlo, per sé e per la comunità.
Lo sa benissimo l’amministrazione che non finge omertà, che non rinnega gli angoli bui, ma cerca il punto di contatto dove far leva per un nuovo rapporto. Una amministrazione che non esalta sé stessa al singolare, ma vive la politica al plurale, aprendo porte dove gli altri innalzano muri. In vino veritas.

In tutto questo io riconosco la mia idea di cultura, che non a caso deriva da coltura, coltivazione.
Come l’uva, come il vino, come l’essere umano.

Perché poi la cultura, in fondo, cos’è, sono quell’insieme di sinergie e informazioni che si fanno magma? E tutta la passione e la potenza di quel caos che apre nuove strade, che non sta mai fermo, che cresce potente e prepotente e che richiede cura e si fa stupore.

Non è forse questa l’immagine più veritiera della cultura?

In vino veritas: la mia prima volta ha rotto argini che non sapevo di avere.

E tu, che limiti poni alla cultura?

Dimmelo nel mio canale Telegram, vieni di là, in vino veritas, però!

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